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Gunter uber alles

13 lunedì Apr 2015

Posted by osteriacinematografo in Grass, Gunter, Pensieri, Storie

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Cronache e Storie d'Osteria, Parole, Pensieri

Gunter Grass

Osteriacinematografo rende omaggio a Gunter Grass, padre di quel “Tamburo di latta” che sconquassò la vita dell’Oste tanto quanto gli acuti di Oskar Mazerath -leggendario treenne paranoide che impedì al proprio corpo di crescere- sconquassarono i vetri degli edifici di una Danzica sempre sognata. Che la Vistola ti porti, egregio Gunter.

“Il tempo non è che il ruscello dove io vado a pesca”

03 venerdì Ott 2014

Posted by osteriacinematografo in Thoreau

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Cronache e Storie d'Osteria, Parole, Pensieri, Titoli di testa

A volte capita di leggere libri per mesi senza che nulla balzi particolarmente all’occhio, senza che nulla richiami la nostra attenzione sì da superare la consistenza d’un battito d’ali. In tali periodi capita sovente di leggere molto, di alternare le letture più svariate, di perdersi nelle storie più assurde. Il significato di queste opere si realizza nella loro compiutezza, allorquando l’ultima pagina ne sancisca l’epilogo.

In quest’ultimo anno, senza che ne avessi intenzione, sono andato a lungo per mare, solcando tutti gli oceani alla ricerca di avventure, amori, pesci giganti, solitudine, verità, Sé. Un oceano letterario.

Henry David Thoreau

Nel sovrapporsi delle vicende, sono però finito nei boschi di Walden, assieme a Henry D. Thoreau, l’uomo che vi fissa in modo assiduo e penetrante, qui alla vostra sinistra. Ho pressoché terminato la sua “Vita nei boschi”, per quanto conservi l’ultima parte per ovviare a un distacco insopportabile. Ma c’è un capitolo di “Walden”, intitolato “Dove vivevo e perché”, di cui non posso liberarmi.

In particolare, le quattro pagine conclusive di quel dannatissimo capitolo sembrano contenere tutta le risposte di cui un uomo possa necessitare, tanto da non lasciare scampo, tanto da creare dubbio e scompiglio, tanto da risvegliare il dormiente anche nei momenti di perfetta veglia.

Ne riporto qui alcuni passi, nella speranza che chiunque legga queste righe con cura sviluppi il profondo desiderio di accostarsi alle rive del lago di Walden, al limitare del bosco e di una Verità mai così vicina.

“La falsità e l’inganno vengono creduti le verità più sincere, mentre la realtà effettiva è presa per falsa. Se gli uomini osservassero continuamente solo la realtà e non si lasciassero ingannare, la vita sarebbe simile a un racconto di fate, agli intrattenimenti delle Mille e Una Notte”.

“Chiudendo gli occhi e sonnecchiando e lasciandoci ingannare dalle apparenze, gli uomini stabiliscono e confermano dovunque la loro vita quotidiana di routine e abitudine, che è tuttora fondata su basi puramente illusorie“.

“Gli uomini credono che la verità sia remota, ai confini del sistema solare, dopo la stella più lontana, prima di Adamo e dopo l’ultimo uomo. Nell’eternità c’è effettivamente qualche cosa di vero e sublime. Ma tutti questi tempi, luoghi e condizioni, esistono ora equi. Dio stesso culmina nel momento presente, e non sarà mai più divino, nel corso di tutti i secoli”.

“Morte o vita che sia, desideriamo soltanto la realtà. 

Se davvero stiamo morendo, udiamoci il rantolo nella gola e sentiamo il gelo alle estremità;

se invece siamo vivi, diamoci da fare.

Il tempo non è che il ruscello dove io vado a pesca.

Vi bevo; ma mentre bevo ne scorgo il fondo sabbioso e vedo come sia poco profondo.

La sua corrente sottile scorre via, ma l’eternità resta.

Vorrei bere profondamente, e pescare nel cielo, il cui fondo è ciottolato di stelle. Non posso contarne nessuna.

Ignoro la prima lettera dell’alfabeto.

Ho sempre rimpianto di non essere saggio come il giorno che venni alla luce.

L’intelletto è un fenditore, esso discerne e scava la sua via nel segreto delle cose.

Io non desidero lavorare con le mani più del necessario.

La mia testa è mani e piedi. Sento che tutte le mie migliori facoltà vi sono concentrate.

L’istinto mi dice che la testa è un organo di escavazione, come per alcune creature il muso e le zampe,

e con essa vorrei scavare la mia strada tra queste colline.

Penso che la più ricca vena sia in qualche luogo qua attorno;

così io giudico per mezzo della bacchetta fatata e dei leggeri vapori che sorgono;

e comincerò a scavare proprio qui”.

Le foreste di Walden si infittiscono in Singolar Tenzone

Robin Williams, un Capitano vero.

12 martedì Ago 2014

Posted by osteriacinematografo in film, immagini, Robin Williams, Storie

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Cronache e Storie d'Osteria, Pensieri

Cronache e Storie d’Osteria

Non credo alle mille forme di aldilà che sono state inventate, modellate, dipinte, descritte nel corso della storia dell’umanità, spesso per creare aspettative di riscatto o per concedere una speranza a chi si lascia vivere fino al punto di trasformare l’esistenza in una sala d’attesa.

Credo invece che paradiso e inferno (o che dir si voglia) siano dimensioni estremamente terrene, ma non fisiche: abitano i nostri pensieri, calzano e incalzano ogni istante della nostra vita, e rispondono al nostro modo di essere, tormentando fino a dilaniare lungo la via dell’annichilimento, o sollevando fino a riprodurre forme sublimi d’estasi.

 Per puro caso, in questo istante, mi è balzato in mente “Al di là dei sogni”, nemmeno a farlo apposta.

Robin WilliamsCredo a una strana sorta di coscienza unificata, un legame ancestrale e imprescindibile che unisce tutte le forme di vita. Credo che si viva per lasciare qualcosa agli altri, e credo fermamente che se si centra questo bersaglio si possa riuscire a schivare la morte. E così si continua a vivere nelle parole, nei pensieri e nei ricordi di quanti siano stati anche solo “sfiorati” dal carisma e dall’amore degli illuminati che abbiano compreso il vero significato di questo nostro intricato e mirabolante percorso.

E cosa siamo noi se non ciò che pensiamo?

Dare agli altri, darsi agli altri, essere se stessi, regalare o comunque concedere emozioni di qualsiasi tipo, questi sono gli obiettivi per cui vale la pena vivere, queste sono le forme di grazia cui dovremmo essere devoti.

 Pochi artisti hanno concesso tanto quanto è riuscito a fare Robin Williams nel corso della sua vita: sono innumerevoli le opere cinematografiche in cui la sua umanità dirompente è stata lasciata libera di mostrarsi, senza limitazioni o formalismi. Sono talmente tante da impedire a Robin di morire, da sollevarlo da tale incombenza, da consegnarlo e consacrarlo alla sfera dell’immaginazione collettiva, dove tutto vive, dove ogni cosa è possibile.

 Ho deciso –caro Robin- di non elaborare in alcun modo queste mie parole, di scriverle di getto, per rispettare quella tua dirompente spontaneità che trascendeva ruoli e copioni. Sei stato davvero un buon amico, dai tempi di “Mork & Mindy” in poi, e mi hai fatto ridere, sognare, commuovere. Ho vissuto le tue interpretazioni come una grande possibilità, come un’ancora di salvezza contro il cinismo che caratterizza l’uomo moderno, come una stradina alternativa da percorrere per rileggere la vita a modo mio, oltre che per evitare la statale quando vado al mare.

 Tu, caro Robin, sei un artista eccelso, un personaggio straordinario, nel vero senso del termine, si evince dai tuoi occhi, dall’intensità di ciò che si portano dietro.

Robin Williams interpreta Patch Adams

 

La sensibilità che in passato ti ha creato delle difficoltà e che forse adesso ti ha ucciso e l’emotività liquida che sgorga da ogni tuo sguardo senza poter essere arginata fanno parte di te in pari misura, e come ho assorbito senza barriere ogni tua performance, non posso fare altro che rispettare le tue scelte odierne, per quanto dolorose.

Non preoccuparti, tutti ti ricordano con profondo amore ed immutata stima. Credo nel presente, e tu ci sei dentro.

Mi rivolgo a te personalmente non a causa di un contraddittorio fanatismo che mi induca a credere che ora tu “sia” da qualche altra parte, ma perché una minuscola spia lampeggiante -nascosta tra le mie intricate concatenazioni elettriche- mi ricorda che tutti siamo uno soltanto, che ogni persona è connessa all’altra in uno strano modo, che persino ogni forma di vita lo è, e che spero che lampeggerai a lungo, e che darai una mano, perché ce n’è grande bisogno, in un’epoca tanto arida ed effimera quanto quella attuale.

 Non ti dimenticherò, finchè l’oblio non mi condurrà all’incoscienza.

Frammenti d’estasi in dormiveglia

11 martedì Giu 2013

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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Cronache e Storie d'Osteria, Pensieri

 Pensieri e Storie d’Osteria

Non sono un amante del mare, per lo meno del mare visto e vissuto dalla spiaggia, delle vicissitudini spesso statiche e monotone cui la spiaggia induce.

Barchetta alla derivaLa dolce e basculante mollezza, la reiterata orizzontalità, l’ozio annebbiato di blandi momenti sovrapposti mi danno spesso l’idea di non vivere realmente, di essere sempre in attesa di qualcosa o di qualcuno che non arriverà mai: in tale inerzia leggo il pericolo di attendere tanto a lungo che nello spazio infinitesimale di un breve intervallo si possa compiere la vita stessa, di ritrovarmi lì a osservarla, la vita, senza la consapevolezza di averla vissuta. Una lenta traversata senza scalo.                               

Eppure la spiaggia, vissuta sotto lo scudo tutelare di un ombrellone, è l’ambiente ideale per perdersi piacevolmente nelle letture più varie, per lo meno in quei giorni in cui il respiro del mare non sia filtrato da schiere di donne e di uomini in rosolatura libera. Le pagine scorrono via e cancellano tutto il resto intorno, la mente vaga dietro l’idea che un altro uomo sembra aver creato ad hoc per quegli istanti, e la sabbia dorata e il frangersi delle onde irraggiano le parole di una luce calda e seducente.

La lettura si tramuta in traslazione.

E così al mare sono spesso rapito dalle parole che un mio simile, sospinto dal desiderio e dall’amore folle d’inventare, ha creato per me. Si, perché la lettura sovente regala l’illusione che certi personaggi stiano lì per te, vivano per te, e così una storia si tramanda, assieme alla sacra scintilla che ha consentito a un autore di forgiare dal nulla un tessuto di vite parallele, con la forza dell’immaginazione e la potenza del linguaggio e delle idee che sgorgano incessantemente dalla fantasia umana. 

Quel tessuto diviene –per così dire- “organico”.

Ma c’è una fase del primo pomeriggio in cui la spiaggia regala una piccola magia: il momento in cui ci si abbandona al dormiveglia. Quando si inizia a perdere coscienza e a vagare nei territori dell’indeterminatezza, si possono verificare le condizioni ideali per compiere un piccolo viaggio sensoriale. In quelle ore rimangono poche persone in spiaggia, e spesso un lieve venticello soffia e scappa in ogni direzione, con il mare a lamentarsi e a mormorare in sottofondo, con una cadenza tanto regolare da divenire ipnotica.

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In quella fase -di norma- i superstiti si abbandonano al sonno o alla conversazione, alla lettura o al semplice relax. Ma quando ci si lascia andare alla cantilena dei flutti e alla leggerezza ammaliante del mare, le voci degli individui tendono a sovrapporsi in modo soffuso e casuale, e le conversazioni che giungono all’orecchio del “dormiente” mutano a seconda di come incrociano il vento, che trasporta voci in successione libera lungo invisibili corridoi aerei.

Si crea così una sorta di mosaico che induce l’ascoltatore a un piacere che accosterei al solletico:  non si coglie il senso di alcuna discussione, ma i tanti puntini che tempestano l’apparato uditivo creano un insieme rassicurante, che muta al minimo mutare del vento e della propria posizione.

Frammenti d’estasi in dormiveglia.

E così una voce di donna, un bisbiglio, le risate di un gruppo di ragazzi, il pianto di un bimbo si mescolano e rimescolano in un cocktail di suoni, dialetti, espressioni che rilassa e culla chi pisola, lasciandolo a mezz’aria fra il sonno e la veglia, nel non-luogo in cui tutto risulta ambiguo e sfocato, là dove s’è posata l’idea di scrivere queste parole, che spiegano la sensazione che ho provato all’incrocio fra il vento, la sabbia e il mare.

The man who sold the world – David Bowie

25 sabato Mag 2013

Posted by osteriacinematografo in Poesie

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Pensieri, Soundtrack

Soundtrack

 

RadiOsteria consiglia “The man who sold the world”, criptico e ammaliante brano scritto e interpretato dal Duca Bianco (The Thin White Duke) nel 1970. Il geniale  artista inglese prese spunto da un poema del 1899 di William Hughes Mearns (1875–1965), noto come  “Antigonish” o “The little man who wasn’t there”.

“Yesterday, upon the stair,
I met a man who wasn’t there
He wasn’t there again today
I wish, I wish he’d go away.”

I versi di Hughes Mearns ispirano palesemente Bowie, che plasmò l’incipit del brano sulla falsariga formale e concettuale creata dal poeta inglese. Nel pezzo domina il tema di un sdoppiamento probabilmente impercorribile. L’uomo osserva se stesso in un’atmosfera surreale,  il Dionisiaco si stupisce nel ritrovare in vita l’Apollineo, poichè viveva nella falsa illusione di essersene liberato.

David Bowie

The Thin White Duke

Ma gli istinti primordiali vengono irrimediabilmente ingabbiati dalle convenzioni sociali che l’uomo stesso costruisce ad hoc, in un gioco perverso ed autolesionista. L’inganno apollineo finisce così per imbrigliare il caos e l’istinto dionisiaci, e la natura umana tende in modo inevitabile a costruire una struttura di difesa all’apparente non-senso “naturale” della vita.

L’uomo di Bowie dapprima non riconosce se stesso forse a causa di quella Maschera Apollinea cucita su misura per  regolare ed “elevare” nella forma il caos dionisiaco, ma in seguito l’Io, apparentemente scisso dalla sua necessaria e forzosa metà regolatrice, diviene “Noi” nell’intenso e significativo finale del brano.

I searched for form and land, for years and years I roamed
I gazed a gazely stare at all the millions here
We must have died alone, a long long time ago
Who knows? not me
We never lost control
You’re face to face
With the Man who Sold the World

The Sound of Silence – Simon & Garfunkel

27 mercoledì Feb 2013

Posted by osteriacinematografo in Pensieri, Soundtrack

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Pensieri, Soundtrack

Soundtrack / Riflessioni d’Osteria

Simon & Garfunkel

 A volte il silenzio è necessario: può rappresentare una scelta saggia, un modo per riflettere o per rispondere a chi non sarebbe in grado -in un dato momento storico-  di ascoltare, comprendere, percepire alcunchè.

A volte il silenzio è imposto e assai doloroso, e riflette invece la sopraggiunta incapacità di comunicare in modo sano dell’uomo “moderno”. E il senso stesso del tempo -umido e corrosivo- si diluisce e penetra fra le intricate maglie del silenzio.

A volte il silenzio comprime a tal punto l’arte di esprimersi dell’Aedo che può accedere – e nei fatti è accaduto– che i capillari del viso di un Cantastorie Devitalizzato attacchino a deflagrare uno ad uno, come minuscole cariche esplosive piazzate a caso da un Cinico Dinamitardo senza scrupoli.

“The sound of silence”, magnifico pezzo scritto fra il 1963 e il 1964 da Art Garfunkel e Paul Simon, raffigura il silenzio come un nemico infido e invisibile, come un cancro da debellare, come il triste epilogo di ogni forma di comunicazione.

Simon & Garfunkel

And in the naked light I saw
ten thousand people maybe more
people talking without speaking
people hearing without listening
people writing songs that voices never share
noone dare, disturb the sound of silence.

 “Fools” said I, “you do not know,
silence like a cancer grows,
hear my words that I might teach you
take my arms that I might reach you”
but my words, like silent raindrops fell…
and echoed the will of silence

Un anno di Osteriacinematografo

06 martedì Nov 2012

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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Pensieri

Pensiero Celebrativo d’Osteria

Era il 6 novembre 2011 quando iniziai, un po’ per gioco e un po’ per merito dell’Ostessa, a costruire Osteriacinematografo. Se ne deduce come sia passato già (o soltanto) un anno dalla creazione di questo spazio. Un anno è molto tempo. Un anno è pochissimo tempo. Trovo la mia creatura niente affatto invecchiata. Ora è viva e articolata, e densa d’innumerevoli spunti che affiorano in superficie dai più disparati e remoti recessi d’Osteria. Osteriacinematografo è un mio modo di essere e di comunicare, un modo che si fa largo a suon d’immagini e parole, attraverso i linguaggi artistici del cinema, della letteratura, della pittura, della fotografia e della musica, un modo recepito da migliaia di persone in gran parte del globo. Ringrazio sentitamente chiunque abbia speso anche solo pochi istanti del proprio tempo per passare da queste parti, perchè amo questo luogo e gli stimoli che mi offre quotidianamente.

 

Il mio blog è stato visualizzato in più di 60 Paesi, di cui ho l’onore di fornire un elenco dettagliato, oltre alla mappa che rappresenta fedelmente la porzione di pianeta che Osteriacinematografo è riuscita a raggiungere (o infettare, che dir si voglia), superando di gran lunga le più rosee aspettative del sottoscritto. Grazie davvero da un Oste commosso.

Post Scriptum: La cantina è piena di vino nuovo, ma anche di rari distillati che ho lasciato invecchiare a mio e vostro pro.

 

Qui di seguito la gustosa lista:

Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Australia, Austria, Belgio, Bosnia ed Erzegovina, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cipro, Colombia, Croazia, Danimarca, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Federazione Russa, Filippine, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Giappone, Grecia, India, Indonesia, Islanda, Italia, Kenya, Libano, Lussemburgo, Malesia, Marocco, Messico, Mongolia, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Paraguay, Perù, Polonia, Portogallo, Porto Rico,  Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Singapore, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Taiwan, Thailandia, Tunisia, Turchia, Ucraina, Uganda, Venezuela.

Amalgama – Epilogo (Il Solvente)

03 sabato Nov 2012

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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Pensieri

Stralunati Pensieri d’Osteria

 

Sono forse  le parole a diluire il pensiero,

così come il solvente fluidifica i colori?

O forse il linguaggio è una sorta d’imposizione,

di statizzazione forzosa delle idee?

L’arte imprigiona o libera il pensiero?

Toglie le catene a ciò che altrimenti rimarrebbe inespresso,

nell’atto di render visibile l’invisibile?

O forse le idee smarriscono purezza e autenticità nella trasposizione artistica,

finendo imprigionate nel carcere del tangibile?

Catturare l’essenza, intercettare il piano sottile,

questa è la chiave, il passo fondamentale.

Urgono ardue e delicate acrobazie per scovare la giusta dose di cura.

Un eccesso di zelo ed elaborazione conduce ad artificiose pomposità,

che aggiungono inutili sovrastrutture ai parti curvilinei del pensiero.

Una carenza di cura può d’altro canto condurre a un prodotto superficiale e scevro di significato.

La calibrazione degli ingredienti traspositivi è forse lo strumento utile

acchè  l’arte si tramuti in illuminazione.

La giusta dose identifica il Solvente,

la sostanza da taglio, il Lasciapassare,

la dissestata carrettiera che conduce al Grande Varco,

la via che consenta alla Spezia di sgorgare nella sua Perfetta Configurazione.

Le endorfine, le fucine del benessere,

la primordiale e rovente Sala Macchine.

Il Solvente, l’Ignoto Ingrediente, lo strumento, l’uomo.

Forse l’uomo stesso è il Solvente,

Paul Atreides, il Quizas Aderach,

lo strumento in pelle attraverso cui la Spezia aderisce alla realtà.

La poetica di Michael Mann

20 sabato Ott 2012

Posted by osteriacinematografo in film

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Pensieri

Pensieri d’Osteria

 

A Lucio, Amico e Cinefilo

 

 

Michael Mann è l’autore di un bel film del 1995, intitolato “Heat – La sfida”, in cui il cacciatore Pacino insegue la preda De Niro in un duello che è psicologico prima ancora che fisico, nonostante i risvolti estremamente tangibili della disputa, fatta di inseguimenti, pedinamenti e drammatiche sparatorie. E’ una caccia lunga e sfiancante, che si sviluppa senza soluzione di continuità lungo un percorso cinematografico lungo quasi tre ore..

 

 

A un certo punto della storia, il cacciatore sembra aver mollato la presa, non crederci più, e gradualmente affievolisce l’intensità del suo inseguimento, fino a dare la sensazione di arrendersi. Inoltre un dramma personale e improvviso lo travolge e allontana ulteriormente dalla sua personale ossessione.

La preda pare salva, al sicuro. E’ in auto con la donna che ha deciso improvvisamente di amare, e un aereo lo attende per la fuga definitiva in Nuova Zelanda. Ma sono sufficienti un nome e un indirizzo, suggeriti da un amico sotto forma di spietato e gratuito assist telefonico, a minare le nuove sicurezze che l’uomo ha maturato: c’è un cerchio da chiudere, una vendetta da compiere, una missione da terminare.

L’inevitabile deviazione verso l’abisso fornisce l’ultima occasione ai duellanti, il passo finale di un balletto d’ombre fra gli altalenanti e mortali bagliori dell’aeroporto di Los Angeles

Il poliziotto e il malvivente sono identici in questa rappresentazione cinematografica, tanto che il primo par inseguire se stesso, così come, simmetricamente, la preda sembra scappare dalla sua proiezione: il loro destino è quella strada che percorrono in parallelo, separati soltanto da un guardrail impercettibile, lungo il quale giustizia e ingiustizia si mescolano fino a smarrire le rispettive connotazioni. I loro interlocutori e l’ambiente in cui si muovono sono gli stessi, e la sfida si produce sullo stesso terreno, con le stesse armi e metodologie d’azione, perché il loro è un gioco al massacro in compartecipazione, i cui contendenti sono forze uguali ma di segno opposto, che si avvicendano sulla scena come le facce di una monetina in eterna ed irrefrenabile oscillazione.

Cacciatore e preda non riescono, pur volendo, ad allontanarsi dalle proprie inclinazioni naturali: curano ogni dettaglio dei rispettivi mestieri in modo maniacale, aderendo scrupolosamente ai rispettivi ruoli, indossando con disinvoltura le maschere dello sbirro e del criminale, come se queste rappresentassero la loro essenza più intima; entrambi antepongono il lavoro a tutto il resto, entrambi studiano con perizia ogni particolare, entrambi agiscono con lungimiranza e cautela, e si muovono con passo leggero su una scacchiera che è la vita stessa, in fremente attesa di una nuova mossa, e dell’ennesima contromisura da adottare.

I duellanti si somigliano, si riconoscono, si rivedono l’uno nell’altro, tanto da instaurare un rapporto di profonda e reciproca ammirazione, ma il gioco è spietato, ed esige un vincitore e un vinto. Qualcuno deve perdere, ma la vittoria è dolorosa quanto la sconfitta, e nel finale le mani dei protagonisti si stringono a testimoniare il rispetto e la lealtà di un duello estremo ma cavalleresco.

Continuo a non condividere la sfrenata passione di Mann per le cascate di piombo e pallottole, ma devo riconoscere di aver intuito e (forse e finalmente) compreso, dopo numerosi tentativi, quella che il mio amico Lucio si ostina a definire da anni “la Poetica Manniana”.

Viaggi d’Osteria

23 giovedì Ago 2012

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Osteriacinematografo chiude i battenti per un po’. L’Oste e l’Ostessa partono per un nuovo viaggio, alla ricerca di appunti ed emozioni utili all’intercettazione del piano sottile. 

A presto

Nine months around the world

09 lunedì Lug 2012

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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After nine months of operation, the Innkeeper announces with delight and satisfaction that osteriacinematografo.com has been displayed for some thousand times in Argentina, Australia, Austria, Brazil, Bulgaria, Croatia, Cyprus, France, Germany, Greece, India, Indonesia, Italy, Japan, Lebanon, Luxembourg, Mexico, Mongolia, Netherlands, New Zealand, Norway, Paraguay, Philippines, Peru, Poland, Portugal, Romania, Russian Federation, Singapore, Slovakia, Slovenia, Spain, Sweden, Switzerland, Taiwan, Turkey, Uganda, Ukraine, United Arab Emirates, United Kingdom, United States, Venezuela.

And so, Thanks.

Omaggio a un Sognatore d’Auto d’Osteria

03 martedì Lug 2012

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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Pensieri d’Osteria

Osteriacinematografo omaggia l’ingegnere torinese Sergio Pininfarina (1926-2012), l’uomo che ha fatto trasalire gli appassionati di automobili di tutto il mondo per un sessantennio, disegnando per la Ferrari indimenticabili sogni a quattro ruote, quali la 212 Inter coupè del 1952, la 250 Gt coupé del 1958, la Dino 206 del 1967, la 365GTB Daytona del 1966. Il cinema e le grandi automobili sono sempre andati d’accordo. E così, nel 1954, Sergio Farina realizzò uno dei suoi pezzi unici più celebri, la Ferrari 375 MM, realizzata su commissione di Roberto Rossellini per Ingrid Bergman. Un caro saluto e un sentito ringraziamento dall’Oste
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