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Omaggio a un Genio Visionario d’Osteria
07 giovedì Giu 2012
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07 giovedì Giu 2012
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Osteriacinematografo omaggia lo statunitense Ray Bradbury (1920-2012), scrittore di fantascienza e non solo. Precorse e anticipò i tempi scrivendo romanzi modernissimi quali “Fahreneit 451”, “L’estate incantata”, “Cronache Marziane”, opere che dimostrano che il genere, sovente, è un semplice strumento per raccontare qualcosa di importante. Un caro saluto e un sentitto ringraziamento dall’Oste18 mercoledì Apr 2012
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After six months of operation, the Innkeeper announces with satisfaction that osteriacinematografo.com has been displayed for some thousand times in Italy, Spain, England, France, Germany, Holland, Sweden, Switzerland, Austria, Luxembourg, Bulgaria, Romania, Poland, Greece, Turkey, Croatia, Slovenia, Slovakia, United States, Australia, Indonesia, Singapore, Philippines, Ukraine, Brazil, Mexico, Argentina, Venezuela, Lebanon.And so, Thanks.
27 martedì Mar 2012
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Corrono gli anni ottanta, e gli U2 vivono il loro momento migliore, a cavallo fra “The Joshua tree” e “Rattle and hum”
L’intervistatore:
“And…what has happened between.. the writing of The Joshua Tree album, recording of The Joshua Tree album and.. the tour…. and the other new songs?”
Adam Clayton: “Ohh, i don’t know.”
22 giovedì Mar 2012
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Osteriacinematografo omaggia Tonino Guerra (1920-2012) , poeta e scrittore visionario e stravagante, autore di numerose sceneggiature, da cui scaturirono opere cinematografiche di enorme rilievo, quali “Matrimonio all’italiana”, “Blow up”, “Uomini contro”, “Zabriskie point”, “Amarcord”, “Al di là delle nuvole”, solo per citarne alcune.19 lunedì Mar 2012
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Dice: “Siamo fortunati. Viviamo nell’unico pianeta del sistema solare capace di creare condizioni idonee per la vita. Non è troppo vicino o troppo distante dal sole, è in una posizione perfetta. Che fortuna essere qui“.
Il fatto è ben diverso. Se ne può discutere proprio a causa (o per merito) della suddetta posizione. A volte, a sentire i discorsi degli uomini, sembra che la piaga umana sia capitata da queste parti con l’ausilio di eventi sovrannaturali, come se un’entità superiore avesse scelto questo luogo per noi.
Non esageriamo.
Ci arroghiamo spesso un ruolo troppo centrale nella storia della vita, del pianeta, dell’universo. Forse perchè è dura ammettere che siamo il frutto di combinazioni casuali, che la vita proseguirebbe (forse meglio) anche senza l’uomo, che il luogo in cui viviamo è sacro in quanto raro e prezioso, che non c’eravamo prima e non ci saremo poi, che siamo fatti della stessa energia di cui sono fatte le stelle.
05 lunedì Mar 2012
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Questo fatto di Dalla continua a tormentarmi, ma non per il desiderio diffuso di melodramma a basso costo che invade i media in casi simili, bensì a causa di una mia riflessione personale che si ripete come un disco rotto alla morte di un artista che mi è caro. E Dalla -lo ripeto- per me è un amico, uno di casa, uno che mi ha spiegato delle cose, che mi ha aperto gli occhi a volte, e confuso in altre occasioni. L’artista è così, ti spiega l’amore o la follia in poche righe, ti confonde le idee sugli stessi temi nei versi successivi. Ma se si decide di aprirgli la porta di casa, bisogna prendere tutto, senza distinzioni. Lucio Dalla, artista di strada, cantautore a domicilio, goliardo d’osteria, putto di città, e clown nel senso romantico del termine, ha scritto e cantato tanti e tali capolavori da creare un filo conduttore luminoso che supera il tempo: la sua voce e la sua poesia lo rendono eterno. Ho sempre pensato che chi muore sopravvive nei pensieri di chi vive, di chi resta. E allora, dal mio punto di vista è facile concludere che uno come Dalla non possa morire, e che al contrario, soprattutto adesso, con la sua voce energica che esce dalle casse, sia più vivo che mai.
Cos’è che rimane delle persone che muoiono? Rimangono tutte le espressioni artistiche, le grandi imprese, le scoperte, le follie. Cos’è che ci portiamo dietro più a lungo? Il discorso di un grande uomo politico (di quelli che non esistono più in pratica)? Il tizio che ha progettato quel magnifico ponte? Il grande imprenditore e la sua linda e asettica azienda? I colleghi di lavoro, sempre se hanno un volto?
Ci ricordiamo più di Berlino o del fatto d’esserci stati con Bonetti?
Di cos’è che viviamo realmente? Io vivo di versi come quelli che -a breve- seguiranno. Molti lo fanno, anche inconsapevolmente, perchè una buona canzone ti cambia la giornata, regala leggerezza, effervescenza, forza, spensieratezza. E certe parole ti parlano dentro, e non le dimentichi mai, e alla fine tiri le somme e capisci che è di questo che hai bisogno, e di poco altro, oltre alle persone che ami, a quelle con cui hai condiviso, alle risate e agli abbracci, alle idiozie che continui a raccontare, a quel grido nella notte, a quelle serate estive d’ebbra ed estatica follia sulla spiaggia della memoria e dei sogni.
E allora eccoli, i versi di cui dicevo. Questa canzone -“Com’è profondo il mare”- mi è stata ricordata recentemente da un vecchio amico. Me la sono riascoltata più volte. E le sue parole finali contengono una verità molto più profonda del mare stesso in cui il suo Cantore la plasmò. E con questi versi è tutto, per il momento.
E’ chiaro che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa è muto come un pesce
Anzi un pesce, e come pesce è difficile da bloccare
perchè lo protegge il mare
Com’è profondo il mare
Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare
Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare
02 venerdì Mar 2012
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19 domenica Feb 2012
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E’ bello pensare che l’ultimo articolo pubblicato (prima di me) su osteriacinematografo (il blog in cui mi trovo ad essere insieme a molti miei simili), intitolato “Le storie se ne fregano degli autori”, dovesse in realtà intitolarsi “E’ bello pensare”.
Effettivamente, nell’articolo in esame, la locuzione “E’ bello pensare” (piccolo concetto di contorno con cui ho avuto modo d’interloquire recentemente) funge quasi da ritornello, e in base a ciò chi scrive ha pensato bene (ha pensato troppo) di intitolarlo “E’ bello pensare”.
E’ quindi bello pensare che “E’ bello pensare” abbia subito una modifica tale da mutare titolo (e pelle), senza che l’autore ne fosse pienamente consapevole.
Vedete, cari lettori, la creazione si è ribellata ancora una volta, decidendo così di autodeterminarsi al di là di me e del mio volere, e di definirsi diversamente.
Per tale motivo, nel caso del presente scritto, che dovrebbe funzionare come appendice del precedente, come moto reazionario e tentativo di ripristino dello status quo ante, ho deciso di “congelare” il titolo prima di scrivere il resto, così da evitare una nuova rivolta. Ma le parole si sono prese il loro spazio prima ancora che potessi iniziare a dire la mia.
“Ma perchè non scegli un altro nome? Le alternative sono infinite. “Pensiero circolare”, “Giro di parole”, “Alphonse o Barnaby Manzarek”, “Applicazione pratica del concetto secondo cui le storie se ne fregano dei loro autori” potrebbero essere titoli validi. E poi non sei tu a sostenere che in questo spazio tutto può sempre mutare in base ai tuoi stessi principi dogmatici?”
Infide e dannate parole, vili ricattatrici, portatrici d’idee rettili come tanti Iago a insinuare dubbi. Queste parole avranno la meglio su di me, prima o poi. Con ogni probabilità si stanno già accordando per il prossimo colpo di coda, col quale si libereranno in modo rapido e definitivo del cordone ombelicale con cui le nutro fino al punto che chiude per sempre questa frase.
18 sabato Feb 2012
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Una citazione recentemente liberata nelle praterie d’Osteria concerne Paul Auster e i suoi “Viaggi nello scriptorium”. Nel libro, Mr Blank, il protagonista, si trova in una stanza semivuota che rappresenta la sua mente, un microcosmo confuso e popolato dai personaggi che lo stesso Blank ha creato. Al di là dell’analisi dell’opera -un raffinato esercizio letterario in cui Auster si diverte a disorientare il lettore grazie a un gioco d’illusioni e scatole cinesi- l’esplorazione dell’universo creativo dello scrittore, che rappresenta la struttura stessa del libro, mi ha fornito un interessante spunto di riflessione.
E’ bello pensare che i personaggi, i contesti, i dialoghi, ogni minimo dettaglio creato da chi scrive sopravvivano al loro creatore.
Le storie continuano a vivere in due modi.
In primo luogo proseguono il loro percorso negli occhi e nella mente di chi legge, popolando le fantasie d’innumerevoli individui, che interpretano e modellano le parole, dando un volto a nomi sconosciuti, contestualizzando ambientazioni in base ai parametri esegetici più disparati.
Inoltre, capita spesso di leggere storie che non finiscono realmente, che rimangono sospese, fin quasi ad acquisire una propria autonomia, una forza intrinseca, e proseguono indipendentemente dalla fine del libro che le contiene a livello spaziale, e in alcuni casi a prescindere persino dagli sforzi di fantasia e prospettiva dei lettori medesimi.
“Tenera è la notte” di Francis Scott Fitzgerald è uno di quei romanzi che continuano a vivere in doppio senso. L’opera ha certamente avuto una storia travagliata, avendo subito – fra il 1925 e il 1934- numerose modifiche per mano dell’autore; ma poiché l’ultima versione del romanzo, che cambiò anche titolo nel corso del tempo, conteneva una serie di inesattezze che ne impedirono la pubblicazione, si rese necessario procedere a una rielaborazione definitiva: fu Malcolm Cowley –anni dopo- a correggere pesantemente l’ultima stesura del libro. In seguito –e per fortuna- il romanzo venne però ristampato in una versione più conforme all’originale di Fitzgerald.
“Tenera la notte” è la storia di Dick Diver, Nicole Warren, Rosemary Voyt, Tommy Barban, Abe North, agiati americani che –negli anni venti- si spostano in lussuose località del vecchio continente. La Costa Azzurra, Parigi, Zurigo, le alpi svizzere sono i luoghi in cui incrociano le loro vicende in chiaroscuro. La storia è profondamente autobiografica e riflette la vita reale dei coniugi Fitzgerald: in particolare, la malattia mentale di Nicole è la stessa di Zelda; la depressione e l’alcolismo di Dick Diver sono gli stessi dell’autore; l’incipit dell’opera mostra una coppia felice che lentamente scivola in un tunnel senza sbocco, come è accaduto realmente ai coniugi Fitzgerald.
Zelda morì nel 1948 in un incendio che devastò l’ospedale psichiatrico in cui visse per più di dieci anni; Francis Scott invece cedette a un infarto nel 1951. Fu una vita di sfarzo ed eccessi –la loro- che finì nella disperazione e nella solitudine, come accade sovente a grandi artisti d’ogni epoca.
Ma è bello pensare che le loro vicende -riflesse nei personaggi di “Tenera è la notte”- continuino a vivere negli occhi e nelle fantasie dei lettori di epoche successive; è bello pensare che una moltitudine di persone possa -negli anni- ripercorrere le loro gesta romanzate, come pure quelle di personaggi più o meno inventati dalla creatività di scrittori di qualsivoglia periodo storico.
Le storie che troviamo nei libri non finiscono mai, almeno fin quando anche un solo individuo avrà voglia di leggerle e di rendere omaggio a coloro che ne hanno plasmato forme e contenuti.
E’ bello pensare che le storie se ne freghino dei propri autori, dal momento stesso in cui avviene la loro trasposizione in lettere.
Ed è quindi bello pensare ai protagonisti dei libri che abbiamo amato, ai loro momenti di gloria e alle loro sofferenze, e al fatto che l’epilogo del libro non coincida con la loro fine, come accade a Dick Diver, a Rosemary Voyt, Tommy Barban e Nicole Warren, che adesso, proprio adesso, sono chissà dove e chissà quando, oltre le pareti del vano cerebrale che li partorì.
29 domenica Gen 2012
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14 sabato Gen 2012
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Vorrei estrapolare un passo interessante dalle pagine de “Il nostro comune amico”, il romanzo di Dickens che Henry James definì “un licenzioso e sformato mostro“.
Il piano narrativo dell’opera si sviluppa in modo lineare, ma si ramifica e si sposta fra i dialoghi e i punti di vista di numerosi (e spesso eccentrici) personaggi, così da donare alla storia le tonalità più svariate: definirei l’opera un concerto in lettere, un romanzo polifonico.
Qui, ora, mi interessa parlare della fase in cui John Rokesmith, il segretario che sposa Bella Wilfer, diviene (o riassume le sembianze di) John Harmon, in cui il Mendicante indossa i panni del ricco ereditiero: tale “trasformazione” è raccontata utilizzando come strumento un paragone il cui termine si chiama George Sampson, l’uomo legato sentimentalmente a Lavinia, sorella di Bella, uomo prima osannato al cospetto del Mendicante grazie a una piccola rendita che crea un notevole scarto sociale fra lui e i Rokesmith; ed ora invece relegato a reietto e misero nell’improponibile confronto col gigante Harmon.
E così assistiamo, in un tragicomico tragitto in carrozza (carrozza Harmon, diretta a palazzo Harmon), alla umiliazione di Sampson da parte di Lavinia e di sua madre, a causa della sua riflessa e sopraggiunta pochezza, che diviene quasi una colpa, agli occhi delle due donne.
La ricchezza acquisita dagli Harmon diviene pertanto un evento vissuto da coloro che gravitano attorno all’evento, più che dai titolari stessi della fortuna: ma, d’altra parte, l’evento conta in questo senso per chi in questo senso interpreta la vita; John e Bella, invece, si sono sposati per amore, e per loro nulla cambia.
16 venerdì Dic 2011
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I sogni si muovono in una “dimensione” parzialmente inconscia.
E’ inconscia per il fatto di non appartenere alla veglia.
In quel momento la società controllante ci lascia liberi di fare,
anche se non ne sono convinto fino in fondo.
Quali possono essere le ragioni e gli obiettivi di un sogno?
Interpreto il sogno come una sorta di cuscinetto,
un ammortizzatore che attutisca in positivo e in negativo situazioni, per così dire, “sperequative”, del nostro vissuto.
Il sogno potrebbe così essere uno strumento per ristabilire un equilibrio smarrito.
L’Io che controlla potrebbe bollare come pericolose alcune posizioni di stallo della coscienza,
ed avviare in tal modo delle procedure di assestamento,
degli sciami sismico-onirici,
autoindotti dall’inconscio personale od eterodotti dall’inconscio universale junghiano,
per ripristinare il buon andamento del sistema.
Reset.
Riavvia il sistema.