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Il cavaliere oscuro – Il ritorno

08 lunedì Ott 2012

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Titoli di testa

FilmOsteria

L’ultimo capitolo della trilogia di Nolan dedicata a Batman si dimostra all’altezza dei primi due episodi. Il lavoro del regista inglese procede sulla falsariga delle opere precedenti, con una serie di immagini imponenti e potentissime a scandire i contorni di una storia che travolge e cattura lo spettatore per quasi tre ore.

Sono passati otto anni, e Gotham City, lugubre e cadente specchio della società odierna, vive una fase di tregua apparente, benché lo status quo affondi le sue radici da un lato sulla beatificazione del falso eroe Harvey Dent e del decreto anti-corruzione che porta il suo nome, dall’altro sulla condanna di Batman, il mostro scomparso nel nulla con l’accusa dell’omicidio di Dent.  Gotham pone quindi le sue basi sulla menzogna e sulla messa in scena, strumenti utilizzati per fornire ai cittadini un idolo da seguire come idea di bene assoluto, e un colpevole mascherato da additare come capro espiatorio universale. Il commissario Jim Gordon è l’uomo cui vengono affidati la dolorosa verità  e tutto il peso che la stessa comporta: egli vive il travaglio di un senso di colpa che lo logora e attanaglia, ma tace per non compromettere il sottile equilibrio di Gotham.

Nel frattempo Bruce Wayne è divenuto il pallido riflesso dell’uomo brillante che era in passato, e vive nell’isolamento del suo palazzo, distante dalla città e dalla gestione della Wayne Corporation, che lentamente si sgretola e cede senza difese all’assalto di speculatori senza scrupoli, che si riveleranno poi i meri burattini di un meccanismo assai complesso.

Il grande burattinaio ha le sembianze di Bane (Tom Hardy) , un uomo forgiato nell’odio e nella sofferenza, in un turbine di violenze e torture inaudite che ne hanno temprato lo spirito.  Bane si presenta a Gotham come la chiave per rovesciare l’ordine costituito e il regime di privilegi cristallizzati; fornendo ai cittadini l’infida illusione della rivoluzione e di una società più equa, instaura un regime di terrore e violenza senza precedenti, paralizzando ogni possibile controffensiva grazie a un sofisticato e subdolo ricatto di massa.

L’arrivo di Bane costringe Bruce Wayne a indossare di nuovo la sua maschera, ma Batman, debilitato nel corpo e nell’anima,  sottovaluta la ferocia e la determinazione del suo antagonista: Bane non conosce la paura, e la sua forza è un liquido nero e densissimo che riempie inesorabilmente ogni possibile anfratto della coscienza, fino a colmare tutto lo spazio fisico disponibile; Bane è il male stesso, è l’esecutore materiale di un credo, la mano armata di una fede cieca, in nome della quale annienta Batman e lo costringe all’esilio nelle prigioni in cui egli stesso nacque: in quel luogo dimenticato, Wayne avrà modo di ricostruirsi, di rinascere (“The dark knight rises“- recita il titolo originale del film) nella stessa violenza che aveva cullato Bane:  il cavaliere oscuro risorgerà dalle ceneri dei propri convincimenti, dopo aver recuperato la paura di morire, e di riflesso l’amore per la vita.

Il Bene e il Male proseguono la loro eterna lotta in “FilmOsteria”

La ratta di Gunter Grass (Il sogno, la fine, il ritorno di Oskar Mazerath)

01 mercoledì Ago 2012

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Titoli di testa

Singolar tenzone

Il terzo capitolo

in cui si compiono miracoli, Hansel e Gretel vogliono urbanizzarsi, il nostro signor Mazerath dubita della Ragione, cinque amache sono occupate, il Terzo Programma deve tacere, a Stege ci sono i saldi e in Polonia la penuria, un’attrice del cinema viene canonizzata e i tacchini fanno storia.

La produzione vuol sapere cosa le tocca. Ma la Ratta che mi viene in sogno ha detto: Per i cartoni animati educativi e per tutto il resto era troppo tardi.

E’ quel che dico: niente.
Nel loro buco inciampano le parole.
Nient’altro che postille.

….

Da ultimo alcuni esemplari
della specie Uomo
tentarono di cominciare dall’inizio.

Da qualche parte verso la fine della stagione
fu disponibile a un buon prezzo
una ragione di speranza.

….

Pensammo che fosse uno scherzo,
quando a un tratto
il riso ci si spense.

Se non altro Dopo
nessuno più era affamato
globalmente.

Ma da ultimo molti uomini
avrebbero voluto ascoltare
Mozart ancora una volta.

Il sogno di Grass prende corpo in Singolar Tenzone

Marigold hotel

04 mercoledì Lug 2012

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Titoli di testa

FilmOsteria

“Marigold hotel”, del regista britannico John Madden,  racconta la storia di sette inglesi attempati che decidono per i motivi più disparati di recarsi in India per trascorrere i loro ultimi anni di vita in un mondo antitetico alla sobria e ordinata Inghilterra.

Evelyn (Judy Dench) è una vedova che deve fare i conti con i debiti del marito, e che compie la prima scelta “indipendente” della sua esistenza; Muriel (Maggie Smith) è una ex governante rigida e xenofoba, alle prese con un intervento al femore che sceglie di fare a Mumbai per ovviare alle liste d’attesa inglesi; Graham (Tom Wilkinson) è un giudice in pensione omosessuale con un passato misterioso in India; Douglas e Jean (Bill Nighy e Penelope Wilton) sono una coppia in crisi dopo quarant’anni di matrimonio;  Norman e Madge (Ronald Pickup e Celia Imrie) sono due single alla perpetua ricerca di una nuova avventura.

 

Le vite e le vicende di questi individui s’intrecciano nel cuore pulsante del Rajasthan, al Marigold Hotel, una struttura gestita dal giovane e maldestro Sonny (Dev Patel), che si rivela ben presto più fatiscente di quanto il titolare sostenesse: il Marigold è infatti un palazzo esotico  e affascinante, ma in evidente stato di degrado.I protagonisti si trovano immersi in una realtà inimmaginabile, storditi dai colori, dai sapori e dagli odori di una terra travolgente che accosta un’intensa spiritualità a un caos ininterrotto, che vede cadenti baracche a ridosso di strutture opulenti e modernissime.

 

“Come i fringuelli di Darwin, ci stiamo lentamente adattando all’ambiente circostante, e chi riesce ad adattarsi, mio dio, quanta ricchezza trova! Il passato non torna più, non importa quanto lo desideri, resta solo un presente che prende forma mano a mano che il passato si ritira”- scrive Evelyn nel suo blog, ponendo l’accento sullo spirito di adattamento necessario ad affrontare ogni cambiamento.

Il viaggio in Rajasthan prosegue fra le tortuose anse di FilmOsteria

Marilyn

06 mercoledì Giu 2012

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Titoli di testa

FilmOsteria

Londra, 1956. Colin Clark, figlio minore di Sir Kenneth Clark, eminente storico d’arte dell’epoca, decide, subito dopo la laurea, di intraprendere la carriera cinematografica.

Grazie alla sua cieca ostinazione e alle influenti conoscenze di famiglia, il ventitreenne Clark (Eddie Redmayne) riesce a farsi assumere come terzo assistente alla regia del film “Il principe e la ballerina”: lavorerà così come tuttofare accanto al grande attore e regista Laurence Olivier (Kenneth Branagh), imparando con applicazione ed entusiasmo i meccanismi del “dietro le quinte” cinematografico, occupandosi dei tanti piccoli dettagli di contorno al set; entrerà poi in confidenza con la moglie dell’epoca di Olivier, Vivian Leigh, che gli affiderà il monitoraggio del marito; instaurerà una tenera storia d’amore con una costumista (Emma Watson).

Ma il ruolo e l’atteggiamento di Colin muteranno rapidamente con l’arrivo di Marilyn Monroe sul set, che travolgerà lui e l’intera troupe come una tempesta improvvisa: Marilyn si dimostrerà ben presto incapace di seguire il rigore e il ritmo imposti dai cineasti inglesi, presentandosi spesso in ritardo e in pessime condizioni, accusando gravemente giudizi e pregiudizi di colleghi che la osservano con diffidenza tipicamente anglosassone.

Clark è giovane, generoso, malleabile, ma anche innocente e sensibile agli occhi di Marilyn, che sente di potersi fidare di lui e a lui si affida alla partenza del marito Arthur Miller, in cerca di tranquillità e d’ispirazione negli Stati Uniti; Marilyn gioca con Clark e i suoi occhi stralunati, trova spensieratezza al suo fianco, si alleggerisce di quel male connaturato al personaggio che incarna, e ricorda e dimentica, e c’è e non c’è, come una brezza primaverile che corre tenue e invisibile a solleticare l’erba.

Il fascino di Marilyn prosegue in FilmOsteria

Dark shadows

19 sabato Mag 2012

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Titoli di testa

FilmOsteria

Alla fine del diciottesimo secolo, i coniugi Collins e il figlio Barnabas lasciano l’Inghilterra e approdano sulla costa orientale americana in cerca di fortuna.  Si insediano nel Maine, dove Joshua e Naomi Collins avviano un’impresa ittica che in breve diviene un impero commerciale, al punto che la cittadina in cui risiedono  viene battezzata come Collinsport.

 

Rimasto orfano in circostanze misteriose, Barnabas cresce nell’agiatezza e si lascia sedurre dal fascino irresistibile della serva Angelique Bouchard, finchè non conosce l’incantevole Josette DuPres, di cui s’innamora perdutamente. Angelique, folle d’amore e accecata dalla gelosia, utilizza la magia per spingere Josette al suicidio e maledire Barnabas: dapprima tramuta l’uomo in un vampiro e poi lo seppellisce, condannandolo al buio di una bara per quasi duecento anni.

 

 

Corre l’anno 1972 quando Barnabas riacquista accidentalmente la libertà, ritrovandosi d’un balzo in un mondo completamente diverso rispetto a quello che aveva lasciato. L’impero Collins si è sgretolato, e la splendida tenuta di famiglia –Collinwood Manor- ha perso l’antico splendore.

 

Nella magione risiedono ancora i discendenti della bizzarra famiglia Collins: l’enigmatica Elizabeth Collins Stoddard, il suo insulso e impalpabile fratello Roger,  i loro rispettivi figli, la ribelle Carolyn e lo stralunato David; la dottoressa Julia Hoffman, un’eccentrica psichiatra dedita all’alcool, e Willie Lomis, il bislacco custode di Collinwood. Allo strampalato quintetto si aggiunge ben presto l’istitutrice di David, Victoria Winters, una fanciulla dai tratti incredibilmente simili a quelli di Josette.

Le acrobatiche avventure di Barnabas Collins proseguono in FilmOsteria

5 maggio 1981

14 lunedì Mag 2012

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Il  5 maggio 1981 compivo sei anni. Non ricordo nulla del mio compleanno di seienne, ma -certamente- ci furono una torta, sei candeline, la famiglia e gli amichetti dell’epoca a festeggiarmi.

 

Un altro fatto certo è che quel giorno, il 5 maggio 1981, morì Bobby Sands, dopo uno sciopero della fame di 66 giorni, organizzato per rivendicare il proprio status di prigioniero politico. Non ne sapevo nulla allora, e non ne sapevo nulla fino a pochi giorni fa, quando mi è capitato di vedere il film “Hunger” di Steve McQueen.

Non sapevo che il 5 maggio 1981 fosse stato un giorno tanto importante: l’importanza in questione era per me circoscritta al sesto anniversario della mia nascita, mentre in quello stesso giorno un uomo irlandese di 27 anni terminava il proprio ciclo vitale, dopo aver lottato con ogni mezzo per l’indipendenza del suo Paese.

Come rimane discutibile l’operato dell’IRA, è ancor più condannabile l’occupazione britannica in Irlanda del Nord, ma in questa sede non voglio occuparmi di politica internazionale, o non soltanto di ciò. A me interessano le persone, le idee che le animano o le hanno animate.

Lo sciopero della fame prosegue all’interno del blocco H di Maze, ed oltre

Hunger

11 venerdì Mag 2012

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FilmOsteria

Irlanda del nord, anni 70. Margaret Thatcher, primo ministro d’Inghilterra, ha abolito lo status di prigioniero politico, e i detenuti appartenenti all’IRA debbono sottostare al regime carcerario ordinario, subendo la sorte e la destinazione dei criminali comuni.

 

In seguito a tal decisione, i membri della resistenza armata irlandese detenuti a Long Kesh –più noto come Maze (Labirinto)- decisero così di porre in essere una serie di atti di protesta eclatanti: nel 1976 diedero  vita alla protesta delle coperte (blanket protest), rifiutando di indossare l’uniforme carceraria ;  nel 1978 procedettero alla “protesta dello sporco “ (dirty protest), una sorta di sciopero dell’igiene in base al quale i detenuti rifiutavano ogni forma di pulizia, imbrattando i muri coi propri escrementi e inondando d’urina i corridoi.

 

Dopo alcuni anni trascorsi in carcere in condizioni disumane, i paramilitari dell’IRA, nel 1980, intrapresero il primo sciopero della fame, durato quasi due mesi, fino al momento in cui il governo inglese promise rapidi cambiamenti del loro regime carcerario. Ciò non avvenne mai,  e Bobby Sands, divenuto ufficiale comandante dell’IRA a Long Kesh, il primo marzo del  1981, iniziò uno sciopero della fame che lo condusse alla morte, poco più di due mesi dopo. Entro l’agosto di quello stesso anno, morirono in modo analogo altri nove militanti dell’IRA detenuti a Maze.

 

Il film del regista inglese Steve McQueen si rivela un esercizio estetico di puro cinema: mostra la realtà senza filtro e senza artifici di sorta, rifiutandosi di raccontare in modo canonico. Le parole non servono, o ne servono poche per mostrare lo squallore e la crudezza della realtà carceraria, che qui si rivela in una nera magnificenza che diviene spirale di morte.

La lenta agonia di Bobby Sands prosegue in FilmOsteria

Piccole bugie tra amici

11 mercoledì Apr 2012

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FilmOsteria

Parigi. Dodo esce all’alba da una discoteca dopo una notte d’eccessi. Nel piano sequenza iniziale seguiamo il tragitto del suo scooter in una città semideserta, e il successivo e tragico incidente che lo conduce in ospedale in condizioni disperate.

 

Gli amici di sempre accorrono immediatamente, e sfilano silenziosi e impotenti al suo capezzale. Dopo essere stati rassicurati dai medici, decidono di partire comunque per la vacanza che trascorrono ogni anno a Cap Ferret, dove Max, membro benestante della ristretta cerchia, possiede una villa a pochi passi dal mare. L’alibi che il gruppo costruisce per la “fuga” è basato sull’impossibilità di intervenire ed aiutare Dodo e sulla consapevolezza del lento ed isolato decorso cui sarà sottoposto l’amico.

 

 

Giunti sulla costa atlantica, uomini, donne e bambini ripercorrono fedelmente il canovaccio su cui si sviluppano le loro dinamiche estive, fra jogging, bagni, gite in barca e pranzi di pesce dall’amico Jean-Louis, quasi a voler sfuggire il pensiero di Dodo, quasi a circoscriverlo in una parentesi mnemonica dai tratti incerti e trasognati.

La storia di Guillaume Canet prosegue in FilmOsteria, subito dietro Cap Ferrat

Miracolo a Le Havre

30 venerdì Mar 2012

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FilmOsteria

Il film si svolge a Le Havre, città portuale dell’alta Normandia. E “Le Havre” sarebbe anche il titolo del film, se i traduttori italiani non avessero aggiunto quel “Miracolo” che, se pur attinente, si poteva tralasciare.

Marcel Marx, un passato da scrittore bohemièn e da clochard, è un lustrascarpe che sbarca il lunario con difficoltà, interpretando una professione desueta con rispetto, umiltà ed abnegazione. Trascorre lunghe giornate nei dintorni della stazione di Le Havre, alla ricerca dei pochi clienti che ancora ne apprezzano i servigi; vive con la cagnolina Laika ed Arrietty, una vedova che l’ha raccolto e salvato dalla strada, e ricambia l’affetto del suo pallido ed esile angelo lavorando alacremente ogni giorno su quella stessa strada in cui ha sempre vissuto, e che rimane il suo habitat naturale.

 

 

Nel tempo breve di poche sequenze, due avvenimenti scuotono la routine dell’uomo: la malattia di Arrietty, più grave di quanto egli stesso immagini, e la conoscenza di Idrissa, un ragazzino africano sbarcato clandestinamente in Francia. Mentre la compagna è costretta al ricovero in ospedale per curarsi, Marcel trova un motivo importante nella storia di Idrissa, scovato dalla polizia in un container diretto in Inghilterra, dove vive sua madre.

 

Il ragazzino è scappato e la Gendarmerie è sulle sue tracce, e così Marcel decide prima di nasconderlo e sfamarlo, e poi di fare in modo che completi quel disumano viaggio intrapreso in Africa. Per realizzare il suo piano, Marcel si avvale della collaborazione dei propri amici e vicini di casa: la fornaia, il fruttivendolo, la fidata barista, un clandestino che vive in Francia sotto mentite spoglie, e persino un ombroso e incalzante investigatore dal doppio volto.

La storia di Kaurismaki prosegue in FilmOsteria

Casinò

17 sabato Mar 2012

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I Grandi Classici d’Osteria

1973, Las Vegas.  Sam “Asso” Rothstein (Robert De Niro), scommettitore dalle doti fuori dal comune al soldo della mafia italo-americana, viene ricompensato dal capo clan Remo Gaggi con la direzione di un grande casinò, il Tangiers.

 

“Gestire un casinò è come derubare una banca senza poliziotti in giro. Per gente come me, Las Vegas purifica dai peccati. È come un lavaggio macchine della moralità” – dice Rothstein all’inizio del film, in una frase che introduce alla perfezione il suo personaggio.Las Vegas è il terreno di caccia ideale per Asso, un uomo che conosce ogni regola del gioco d’azzardo, dalla pura forma estetica del grande meccanismo ai trucchi più subdoli utilizzati da bari d’ogni sorta.

 

Rothstein s’inserisce così rapidamente nel sistema, lavorando su ogni minimo aspetto del casinò, moltiplicando i profitti del medesimo in forza di una gestione a tutto tondo di un’impresa in cui si controlla ogni cosa ad eccezione delle scremature sugli incassi.

Aumentano i profitti e di conseguenza aumentano gli introiti sommersi dei mafiosi di Kansas City, e la famiglia di Gaggi decide così di tutelare l’operato dell’imprenditore, assegnando al gangster  Nicky Santoro (Joe Pesci) la sua sorveglianza: inizialmente Nicky, amico d’infanzia di Rothstein, vigila a distanza su Asso e sull’attività del casinò, ma poi decide di trasferirsi in pianta stabile a Las Vegas, dove troverà un ambiente vergine in cui sviluppare i suoi metodi caratterizzati da violenza ed estorsioni.

 

 

“In un casinò, la regola principale è di continuare a far giocare i clienti, e di farli tornare il giorno dopo. Più giocano e più perdono. Alla fine becchiamo tutto noi” – spiega Rothstein, che, per alimentare ulteriormente questo circolo vizioso,  assolda Ginger (Sharon Stone), un’affascinante ed avida truffatrice nel giro della droga e della prostituzione. La donna, legata profondamente al suo pappone Lester (James Woods), conosce Las Vegas e i desideri di chi la frequenta, e distribuisce con disinvoltura sesso e stupefacenti ai clienti e mazzette ai parcheggiatori, contribuendo al successo di Asso e del Tangiers.

Il gioco di Scorsese prosegue fra i Grandi Classici d’Osteria

Easy rider

09 venerdì Mar 2012

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I Grandi Classici

Bill e Wyatt (Dennis Hopper e Peter Fonda), dopo aver trasportato un quantitativo ingente di droga dal Messico agli Stati Uniti, acquistano due chopper e partono dalla California alla volta del carnevale di New Orleans.  Il loro è il sogno americano su due ruote, è un viaggio di libertà attraverso uno dei luoghi più affascinanti della terra, e la porzione di cielo e paesaggio a loro disposizione rende l’idea d’infinite possibilità.

 

Lungo il percorso, Bill e Wyatt (Capitain America) incontrano e danno un passaggio a un hippie, che li conduce tra la sua gente in una comune: qui la tolleranza e l’armonia regnano incontrastate, e la convivenza pacifica di questa struttura estranea alla società convenzionale è l’emblema di quanto accadrà poi: la comune è l’oasi simbolica e verdeggiante in mezzo a un deserto aspro e irto di insidie, un non luogo dove poter assaporare la felicità di un bagno discinto assieme a due ragazze in una sorgente d’acqua calda.

 

I due amici salutano l’oasi, e proseguono il tragitto verso sud.  E più si spingono a sud, più aumentano i segnali di diffidenza nei loro confronti; vengono ignorati sistematicamente persino dai peggiori motel, e dormono sotto le stelle, accanto al fuoco e alle loro moto. Vengono arrestati in una cittadina per aver preso parte a una parata senza permesso, e in cella conoscono George Hanson (Jack Nicholson), un giovane e facoltoso avvocato alcolizzato, che li tira fuori dai guai e prosegue il viaggio con loro alla volta di New Orleans.

Il viaggio di Bill e Wyatt prosegue fra i Grandi Classici d’Osteria

This must be the place

03 sabato Mar 2012

Posted by osteriacinematografo in film

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John Smith, più noto semplicemente come Cheyenne, è una rock star in pensione, che raggiunse l’apice del successo negli anni ottanta come front man del gruppo “Cheyenne & The Fellows”.

 

Vive di rendita con la moglie in una ricca magione irlandese, curando le sue azioni in borsa e la vita sentimentale di una fanciulla. Il suo aspetto è rimasto quello degli anni 80, indossa abiti e occhiali neri, ha il volto truccato e una folta chioma scomposta; attraversa un tempo lento e compassato come i suoi stessi micromovimenti, che si producono al fianco di un carrello della spesa che lo accompagna come un’ombra meccanica.

 

Cheyenne riceve improvvisamente la notizia che il padre è malato di una malattia chiamata vecchiaia, e parte per gli Stati Uniti. Sceglie il percorso via mare, a causa della fobia degli aerei, e nel tempo prolungato del tragitto marittimo il padre muore. A New York l’uomo scopre che il padre effettuava delle ricerche su un tale di nome Aloise Lange, un ufficiale nazista che lo aveva umiliato durante la prigionia ad Auschwitz.

Il viaggio di Cheyenne prosegue in FilmOsteria
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