Il celebre letterato italiano (ma di origini ucraine) Leone Ginzburg (1909-1944) scrisse quanto segue in riferimento al romanzo “Anna Karénina” di Lev Tolstoj:
“Con l’incomprensibile sicurezza di chi si trova a casa propria dovunque, Tolstoj penetra dentro ogni corpo e ogni anima. Mentre Balzac e Proust si sforzano di diventare le proprie creature, ma un momento prima di sciogliersi in loro si arrestano, fermi nel gesto grandioso dell’attore e del mimo, – Tolstoj è tutto il resto del mondo, con la medesima naturalezza con cui viveva la propria vita. Se lo desidera, è una ragazza che si guarda sorridendo allo specchio e ammira il suo vestito di tulle rosa con la sottoveste rosa: avverte insieme a lei che l’abito non tira da nessuna parte, che i folti bandeaux di capelli biondi si mantengono fermi sulla piccola testa come se fossero suoi, e “ il nastrino di velluto nero del medaglione aveva circondato con particolare delicatezza il suo collo”. Se lo vuole, Tolstoj è una cagna da caccia che aspira l’aria con le narici dilatate, e sente che nella palude non ci sono soltanto le orme degli uccelli, ma essi sono là, davanti a lei, e non uno ma molti.”
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“Penetrato così profondamente nel corpo dei suoi personaggi, Tolstoj sorprende la loro esistenza indefinita ed oscura. I pensieri inconsci che passano a volo nella mente, le parole dette per caso, i rapporti tra i sentimenti lontani, i particolari invisibili, casuali e quasi assurdi della realtà, – questa polvere minuziosa di minuti, di parole e di sensazioni è il luogo dove preferisce abitare. Egli sa che questa polvere forma la sostanza stessa della realtà: la sostanza preziosa che lui solo conosce. Senza fatica manifesta, la evoca dall’ombra con la sua penna innaturalmente chiara e luminosa. Ora i particolari che ci sembrerebbero più tediosi nella vita quotidiana, brillano e scintillano, e noi ci innamoriamo di loro, come Lévin se ne innamora Tutto ciò che accade nel libro ci sembra vero e naturale. “
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“Al tempo stesso, ogni cosa ci sembra strana e sconvolgente, come se soltanto Tolstoj la vedesse. “
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“Tolstoj non è mai oggettivo. Sul suo volto nervoso e mobilissimo, vediamo trascorrere la simpatia e l’antipatia, la benevola protezione o il benevolo scherno, l’amore, l’odio e il feroce disprezzo, che prova per i propri personaggi. “
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“Quando percorre la società aristocratica di Pietroburgo e di Mosca, l’eleganza e la corruzione, l’intelligenza e la volgarità, la ricchezza e il cinismo di questo mondo lo attraggono. Ora descrive i folti tappeti lanosi, le tavole illuminate a giorno, l’argento dei samovar, le tappezzerie francesi, le specchiere dove le toilettes femminili lasciano il loro riflesso effimero. Ora sta in un angolo, come l’ospite sconosciuto,: ascolta le conversazioni, e le trasforma in un perfido ricamo verbale, in un cristallino prodigio di ritmo. “
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“Appena il romanzo finisce, ci domandiamo da quale luogo Tolstoj ci fissi con i suoi grandi occhi invisibili. Da principio, ci pare che non possegga uno sguardo; e che nella sua pupilla si riflettano soltanto gli sguardi di Anna Karenina e di Vrònskij, di Lévin e di Kitty, di Stepàn Oblònskij e di Dolly, della cagna da caccia e degli uccelli di palude che brulicano sui ruscelli brillanti di rugiada. Se ripercorriamo tutto il libro, quest’occhio, che dovrebbe condividere ogni cosa, ci appare stranamente lontano e distaccato. Non sappiamo dove si perda: quale orizzonte abbia scelto: cosa pensi, cosa giudichi, cosa desideri, cosa sogni. Per usare una sua espressione, non sappiamo quale sia la nascosta “chiave di volta” che tiene insieme l’architettura di Anna Karénina.”

